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Demitizzazione e ritorno del mito
(apparso su "Presenza Sociale", 1989)
di Paolo Dell'Aquila
"Troppo tardi, amico, giungiamo noi. Vivono certo gli
déi
Ma là, sul
nostro capo, in un altro mondo" (Hölderlin)
La consapevolezza basilare che ha
accompagnato gli anni Ottanta è stata quella di una
caduta dei miti moderni, particolarmente diffusi durante gli anni del boom
economico. La speranza nel progresso, nella libertà e nell'emancipazione è
venuta gradatamente affievolendosi a causa di un lungo processo storico.
L'epoca moderna, a partire dall'Illuminismo,
aveva prodotto il mito dell'emancipazione: l'uomo, liberatosi dai vincoli
tradizionali, avrebbe potuto finalmente dedicarsi alla costruzione di una
società fondata sulla ragione. In tal modo si sarebbe aperta un'era di indefinito progresso, favorito anche dalla diffusione
della scienza e della tecnica. La pianificazione globale,
fondata sui criteri della razionalità strumentale, ha tuttavia portato alla
reificazione dell'uomo ed al dominio sulla natura, sia in Occidente che
all'Est. Il sorgere del razionalismo, basato su un umanesimo
antropocentrico e volto alla manipolazione del reale, ha condotto al
nichilismo, come ha dimostrato Morra (La scure del Nulla, Japadre).
La demitizzazione,
ovvero la caduta della visione cristiana dell'esistenza, si è sviluppata
assieme alla volontà di potenza che imponeva la tecnicizzazione
del reale. La critica alla modernità fino alla Scuola di Francoforte, ha
cercato in un primo momento di rispondere alla razionalizzazione
tramite la ragione: dall'alienazione si doveva uscire per mezzo di un'altra
utopia di liberazione. Nelle opere più tarde (in primis la Dialettica
negativa di Adorno) i francofortesi
hanno invece riconosciuto che la denuncia della società dell'amministrazione
globale non può sfociare in un progetto emancipativo.
Il pensiero dell'età della tecnica si risolve nell'opposizione all'esistente,
incapace di formulare proposte positive che sarebbero
nuove versioni della razionalizzazione moderna. La crisi della ragione porta
alla dialettica negativa: un pensiero strutturato sulla negazione della
negazione.
L'esito ultimo della secolarizzazione
è il superamento definitivo della modernità, come si vede in Filosofia '86
(curata da G. Vattimo, Laterza).
L'età post-moderna constata che la ragione non è
estranea ai miti che voleva eliminare, ma è essa stessa un mito. Per Vattimo l'oltrepassamento della
metafisica, la razionalizzazione, si configura come distorcimento, messa in oscillazione della metafisica
stessa. Il sapere si riconosce come limitato, caduco, frammentato, sempre in
conflitto con se stesso. Le forme della ragione vengono
dis-locate, svuotate, rese infinitamente reversibili e sostituibili. La crisi
della "ratio" moderna conduce al sorgere del pensiero debole, che
rinuncia alle pretese di fondazione.
In Disincanto del mondo e pensiero
tragico (Il Saggiatore) Givone afferma che la demitizzazione porta al ritorno del mito. La verità si
rivela infondata, leggera, giocosamente creativa. La distruzione del senso
porta alla sua infinita apertura. Il pensiero debole è perciò anche un pensiero
tragico, paradossale, ambivalente. Le forme culturali determinate rinviano
sempre ad altri "possibili altrimenti", ovvero divengono negabili,
sostituibili all'infinito. Come testimonia il dibattito su Debole e tragico
("Aut aut" 237-238, 1990) nell'epoca
post-moderna il mondo è diventato favola, si è rivelato privo di fondatezza. La
tragicità dell'esistenza sta proprio nel fatto che
tutte le forme dell'agire (informazione, cultura, politica, economia, etc.)
diventano spettacolo. Tutto si teatralizza,
si mette in fluttuazione. Si assiste ad un'estetizzazione
di massa in cui stili di ieri e di oggi si combinano
svuotandosi a vicenda. La realtà diventa una babele di linguaggi, un bricolage
di frammenti tra loro eterogenei. Per questo, come ha scritto Jameson (Il postmoderno, Garzanti) cultura alta e
cultura commerciale si fondono ridefinendosi continuamente. Da qui nasce il
successo di trasmissioni come "Striscia la notizia" o il defunto
"Drive in": politici, imprenditori, uomini di cultura, cantanti,
soubrette vengono ripresi, esaltati, e messi in
ridicolo dalla macchina televisiva. Trionfa un'emorragia irrefrenabile di
segni, di parole e di scritture in cui vi è sempre meno senso e sempre più
comunicazione.
La crisi della modernità ci riporta quindi a
riaprire delle questioni metafisiche che l'Illuminismo credeva di aver liquidate.
Il carattere tragico della condizione umana attuale pone interrogativi sul
senso della vita e sul manifestarsi del Sacro, una volta che i miti (gli déi) moderni se ne sono andati. Come ha scritto Heidegger,
"L'oscurarsi
del mondo
non raggiunge la luce dell'essere.
Noi
sopraggiungiamo troppo tardi per gli déi
e troppo presto per l'essere...".