Troppo spesso le comunità virtuali sono state studiate come entità a se stanti, separate e lontane rispetto al mondo della vita quotidiano. In realtà queste convinzioni si basavano su una concezione “classica” della comunità, che la leggeva come strettamente correlata con il dato spaziale (il quartiere, il villaggio, il paese, ecc.). Oggi invece i legami sociali appaiono fondati su una comunanza di tipo simbolico e su un sentimento di appartenenza che si svincola dal dato ecologico. Tra i gruppi “reali” e quelli “virtuali” non si riscontra più una grande discontinuità. Le comunità digitali sono, in realtà, gruppi molti simili a quelli che operano nel mondo fisico e si contraddistinguono perché si incentrano sulla persona. Le nuove reti mobili usano mezzi di comunicazione vecchi e nuovi (telefono, cellulare, computer, ecc.) per ricostruire dei legami sociali che si estendono sia nel mondo reale che in quello virtuale. Alcune di queste, inoltre, presentano caratteristiche ancora più particolari: sono smart mobs, collettivi intelligenti capaci di autoorganizzarsi strutturandosi e svolgendo azioni socio-politiche. I casi dei movimenti politici, delle associazioni virtuali, delle comunità di apprendimento rispecchiano proprio questa tipologia di teleorganizzazioni, in grado di sfidare la colonizzazione dei mondi della vita ad opera dei sottosistemi dell’economia e della politica.
Oggi si assiste alla crisi della “seconda Internet”, dominata dagli accademici e da un’ideologia libertaria: la nuova rete, invece, assume forti caratteristiche commerciali (si pensi all’e-business). In questo clima le associazioni virtuali possono divenire un modello alternativo di azione, poiché, dandosi una strutturazione reticolare ed operando fra virtuale e reale, riescono a cogliere e promuovere un aspetto diverso della globalizzazione e della network society.